
Una mattina di circa venti anni or sono Larry Page si svegliò con un’idea che lo aveva ossessionato tutta la notte: andiamoci a conquistare l’attenzione costante di miliardi di persone in tutto il mondo, in modo puntuale e personalizzato e poi la rivendiamo in varie forme di pubblicità più costosa perché “mirata” al singolo del quale ora conosciamo le sue abitudini e la propensione all’acquisto.
Molto probabilmente ne parlò subito dopo con Sergei Brin, suo compagno di stanza a Stanford, che obiettò immediatamente che questo era un mercato saldamente in mano alle grandi Corporations e alle potentissime Agenzie di pubblicità che, da oltre cinquanta anni, dominavano incontrastate il mercato statunitense e quello mondiale e che, contattare milioni di persone per conoscerne le abitudini, era una impresa semplicemente impossibile.
La risposta fu: l’impresa è impossibile nell’attuale contesto ma la posta in gioco è troppo alta e allettante e basta creare un business model “disruptive” che sconvolga il mercato tradizionale e noi avremo un vantaggio competitivo incolmabile, poi si vedrà.
Questa è una mia interpretazione personalissima, a posteriori, di come si svolsero i fatti e di come fu creata Google e, visti i fatti, penso che una mattina (“la notte porta consiglio”… si diceva una volta) uno dei due amici se ne usci con la soluzione: la cosa più allettante che si possa immaginare è un servizio di altissima qualità erogato gratuitamente.
Basta realizzare un servizio importante e universale sul WEB, che sia in grado di essere usufruito da TUTTI, a prescindere dalla loro madrelingua, erogarlo gratis e ricordarsi le azioni delle persone che ne usufruiscono per crearne un profilo personale: il resto è puro “market value”.
La stessa sequenza vale più o meno anche per Amazon, Uber, PayPal, Ebay, ecc. e tutte le imprese create su business model “distruttivi” che hanno spostato i termini dei business model tradizionali nel rapporto tra servizio e pagamento dello stesso.
Infatti non bisogna confondere la natura dei servizio erogato con la struttura del business model che si fonda sulle modalità che governano l’erogazione del servizio (Web, taxi, carata di credito, ecc.) e il pagamento (possibilmente gratuito) del servizio stesso. Il resto è solo tecnologia, organizzazione, qualità, ecc. ma l’idea base di Google è stata: eroghiamo un servizio gratis e facciamoci pagare da altri in altro modo.
Google nel 2018 ha fatturato 136 miliardi di dollari e ha una capitalizzazione di oltre 500 miliardi. Niente male per una “impresa impossibile” di erogare servizi in modo gratuito.
Le difficoltà attuali dell’impresa Italia, dopo oltre venti anni di snobismo luddistico dei nostri capitani coraggiosi, stanno portando sul tavolo dell’attualità il concetto dei business model “disruptive” e l’idea del servizio gratuito pagato con il “valore” nascosto della clientela ed attualmente non sfruttato.
Il problema è: ma dove è questo valore? E come lo sfrutto?
Il vero problema in realtà resta sempre uno solo: quanta innovazione di business siamo capaci di creare?